giovedì 3 febbraio 2011

Quando raccontare è una missione


Stavo per iniziare questo post con le seguenti parole: “i giornalisti hanno una responsabilità importante nei confronti della storia…”, ma finché sono in tempo cambio registro e dico che a volte (oppure sempre?) raccontare è una missione, necessaria.

Raccontare gli avvenimenti mentre accadono, senza tralasciare il posto occupato dall’”io raccontante”, la sua posizione fisica, il suo coinvolgimento emotivo…

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A tal proposito, voglio ricordare un articolo di Robert Fisk, segnalatomi da un collega a cui devo un pezzo importante della mia formazione giornalistica.

Grazie Carlo!

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Robert Fisk: “Al Cairo ho visto iniziare l’agonia…”

Forse è la fine. Di sicuro è l'inizio della fine. In tutto l'Egitto decine di migliaia di arabi hanno sfidato i gas lacrimogeni, il getto degli idranti, le bombe assordanti e le pallottole vere per chiedere le dimissioni di Hosni Mubarak dopo oltre trent'anni di dittatura.

E mentre il Cairo si ritrovava coperta da nubi provocate da migliaia di candelotti sparati dai reparti antisommossa, il regno di Hosni sembrava davvero avvicinarsi alla fine. Nelle strade della città nessuno sapeva dove Mubarak – che più tardi sarebbe apparso in televisione per annunciare le dimissioni del suo governo – realmente fosse.

In ogni caso non ho trovato nessuno a cui importasse realmente saperlo. Queste persone, decine di migliaia, erano tutte coraggiose e per la maggior parte pacifiche, ma il comportamento dei poliziotti in borghese di Mubarak, i “battagi” - la parola in arabo significa letteralmente “criminali” - che hanno assalito, picchiato, pestato a sangue i dimostranti mentre la polizia regolare guardava senza intervenire, è stato tragicamente scioccante.

Quei “battagi”, molti dei quali ex poliziotti tossicodipendenti o comunque drogati, l'altra sera erano la prima linea dello Stato egiziano. I veri rappresentanti di Hosni Mubarak mentre i poliziotti in uniforme spargevano gas lacrimogeno sulla folla. A un certo punto, mentre polizia e dimostranti si confrontavano sopra i ponti sul Nilo, il fumo dei lacrimogeni ha cominciato a coprire il grande fiume.

Era incredibile vedere il popolo della più grande nazione araba ribellarsi al proprio destino di violenza, brutalità e prigione. Gli stessi poliziotti hanno cominciato a vacillare, uno mi ha chiesto: «Cosa possiamo fare? Abbiamo degli ordini. Credi che vogliamo tutto questo? Questo paese sta andando a fondo».

Mentre i dimostranti si inginocchiavano in preghiera davanti alla polizia, il governo dichiarava il coprifuoco. Come si può descrivere il giorno che verrà ricordato come una gigantesca pagina nella storia dell' Egitto? Forse i reporter dovrebbero lasciar perdere le loro analisi e raccontare semplicemente quello che è accaduto dalla mattina alla sera in una delle città più antiche del mondo.

E allora ecco quello che emerge dai miei appunti presi al volo inmezzo a una folla decisa a sfidare migliaia di poliziotti in borghese e in divisa. Tutto cominciò alla moschea di Istikama a piazza Giza: un triste quartiere di cemento e case macilente dove si era disposta un fila di poliziotti lunga fino al Nilo. Tutti noi sapevamo che Mohamed El Baradei sarebbe stato lì per la preghiera di mezzogiorno.

All'inizio la folla sembrava piccola. I poliziotti fumavano sigarette. Per essere la fine del regno di Mubarak, l'inizio non aveva nulla di memorabile. Finite le ultime preghiere, la folla si incamminò lungo la strada e verso la polizia. «Mubarak, Mubarak -gridavano- l'Arabia Saudita ti sta aspettando» Fu allora che gli idranti della polizia iniziarono a sparare getti d’acqua contro la folla: non era stata lanciata nemmeno una pietra, ma la polizia aveva già deciso di attaccarli.

L'acqua stava spazzando la follaquando gli idranti vennero puntati contro El Baradei che, spinto indietro dal getto, si ritrovò completamente zuppo. Era ritornato da Vienna poche ore prima e pochi egiziani credono che governerà il Paese. Lui dice di voler essere semplicemente un negoziatore. Il politico più rispettato e acclamato dell'Egitto, un premio Nobel che era stato nominato capo della più alta agenzia Onu di ispezione nucleare, si trovava zuppo fradicio come un monello di strada.

Che è poi quello che Mubarak pensa di lui. Un altro provocatore con un piano pericoloso: questo è il tipo di linguaggio che il governo egiziano usa in questo momento. Fu allora che i candelotti lacrimogeni iniziarono a cadere sulla folla. Erano solo qualche migliaio di persone, in quel momento ma mentre passavo al loro fianco iniziò ad accadere qualcosa di notevole…

Per il resto vi mando al link:

http://www.unita.it/mondo/robert-fisk-al-cairo-ho-visto-iniziare-l-agonia-1.269246

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